racconti...amoci in breve
Fiaba in quattro parti
Lo scafista. Prima parte
Erano le tre di notte,
quando siamo partiti in ottanta dal porto di Licata, in provincia di Agrigento.
Praticamente dall’estero.
Avevamo un barcone a disposizione e, stipati bene bene, una notte, approfittando del tempo buono e del mare calmo, facendo il passa parola, ci siamo ritrovati sulla banchina della darsena Marianello di Licata per dar luogo alla tanto sospirata partenza verso il sospirato ricco nord.
Avevamo un barcone a disposizione e, stipati bene bene, una notte, approfittando del tempo buono e del mare calmo, facendo il passa parola, ci siamo ritrovati sulla banchina della darsena Marianello di Licata per dar luogo alla tanto sospirata partenza verso il sospirato ricco nord.
A salutarci c’erano i
parenti e un po’ di curiosi, e considerando che eravamo in ottanta, e che
c’erano circa cinquanta parenti a testa … vuol dire che si era in quattromila
circa. Se poi ci aggiungiamo altri quattro - cinquemila curiosi, possiamo dire
che siamo partiti con tutti gli onori. Non c’era il sindaco, ma qualche
buontempone ha avvisato la banda cittadina. Vi lascio immaginare l’allegria!
Non appena abbiamo
mollato gli ormeggi lanciando la classica cima, dal molo si è alzata una voce
scherzosa: “i clandestini vanno via”. Abbiamo prontamente detto a quei mal
pensanti che non eravamo clandestini, semmai gitanti. Infatti, era come se si
andasse a fare una gita fuori porta … anzi, fuori dal porto! E mentre si andava
definitivamente via, dalla banchina arrivavano i saluti da noi ricambiati.
Bisogna dire che è
stato un momento emozionante, una esperienza da consigliare a tutti. Si partiva
da Licata e la nostra meta era: Milano marittima. Si cambiava città, ma si
restava sempre sull’acqua.
Fatto il giro da Capo Passero,
il punto più a sud dell’isola siciliana, tomo tomo, con i motori al massimo,
siamo arrivati allo stretto e siccome ci sentivamo stretti anche noi, abbiamo
deciso di proseguire senza soste, anche perché c’erano persone che volevano
imbarcarsi.
Non abbiamo fatto in
tempo però ad allontanarci, che un barbone saltò sul barcone tirandosi dietro
una ragazza. A scanso di equivoci, fecero subito le presentazioni, come se
qualcuno glielo avesse chiesto. Il barbone disse di chiamarsi ‘Bisio’; la
ragazza invece non aprì bocca, però è stato un piacere averla … ‘Incontrada’.
E’ stata un po’ ‘Vanessa’, ma non ci si è fatto tanto caso!
Quando ci siamo
allontanati dallo stretto abbiamo cominciato a prendere confidenza … a fare le
presentazioni … a fare amicizia. Prima, quando si era nelle acque di Sicilia,
non ci si guardava in faccia e non parlava nessuno. Non per omertà! Era una
questione di timidezza, quasi di sconforto per aver lasciato la Sicilia.
Dopo 15 ore di viaggio
e quando la Sicilia non si vedeva assolutamente, abbiamo avuto … come una
metamorfosi. Non c’era più tensione, c’era allegria … tutti volevamo dire
qualcosa; ognuno chiedeva al vicino cosa avrebbe scelto di fare una volta
arrivati a destinazione, ci si abbracciava come vecchi amici, insomma … sembravamo
quasi fratelli. Anche se c’erano alcuni che ci sorvegliavano con sguardo severo
e schifato.
In compenso, si vedeva
che c’era tanta gente culturalmente preparata; alcuni addirittura cominciavano
a truccarsi per l’arrivo e intanto si parlava a ruota libera.
Ce n’era uno però che
si era messo in piedi e quasi faceva un comizio, parlava di televisione; disse
di chiamarsi ‘Baudo’, era un tipo secco e lungo. Stava esagerando, non smetteva
di parlare. Ad un certo punto lo abbiamo buttato a mare e utilizzato come
timone … e siccome si agitava tutto e muoveva continuamente le mani, faceva un
effetto elica bestiale, tanto che il barcone cominciò ad andare più veloce.
Un urlo acuto però
squarciò il silenzio. Era la compagna del Baudo che reclamava il recupero del
timone, cioè della salma … insomma, del povero disgraziato. Mal volentieri
l’abbiamo tirato su e abbiamo riconsegnato la stecca. Si sa che “ogni scarafone
è bello a mamma sua”.
Accanto alla salma,
c’era una che si faceva chiamare Simo e sembrava in cerca di Ventura. Aveva
fatto il viaggio con due palloni sotto le braccia senza mai mollarli, dicendo
che cercava quelli del calcio … perché aveva da dirgli qualcosa.
Intanto che si rideva
e si scherzava avevamo lasciato alle spalle il parco nazionale del Gargano e lo
scafista, che non aveva aperto bocca tutto il viaggio, si rivolse ai presenti
dicendo: “Lor signori mi consentano …”
Fine prima parte
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