martedì 16 ottobre 2012

Lo scafista

racconti...amoci in breve
Fiaba in quattro parti
Lo scafista. Prima parte
Erano le tre di notte, quando siamo partiti in ottanta dal porto di Licata, in provincia di Agrigento. Praticamente dall’estero.
Avevamo un barcone a disposizione e, stipati bene bene, una notte, approfittando del tempo buono e del mare calmo, facendo il passa parola, ci siamo ritrovati sulla banchina della darsena Marianello di Licata per dar luogo alla tanto sospirata partenza verso il sospirato ricco nord.
A salutarci c’erano i parenti e un po’ di curiosi, e considerando che eravamo in ottanta, e che c’erano circa cinquanta parenti a testa … vuol dire che si era in quattromila circa. Se poi ci aggiungiamo altri quattro - cinquemila curiosi, possiamo dire che siamo partiti con tutti gli onori. Non c’era il sindaco, ma qualche buontempone ha avvisato la banda cittadina. Vi lascio immaginare l’allegria!
Non appena abbiamo mollato gli ormeggi lanciando la classica cima, dal molo si è alzata una voce scherzosa: “i clandestini vanno via”. Abbiamo prontamente detto a quei mal pensanti che non eravamo clandestini, semmai gitanti. Infatti, era come se si andasse a fare una gita fuori porta … anzi, fuori dal porto! E mentre si andava definitivamente via, dalla banchina arrivavano i saluti da noi ricambiati.
Bisogna dire che è stato un momento emozionante, una esperienza da consigliare a tutti. Si partiva da Licata e la nostra meta era: Milano marittima. Si cambiava città, ma si restava sempre sull’acqua.
Fatto il giro da Capo Passero, il punto più a sud dell’isola siciliana, tomo tomo, con i motori al massimo, siamo arrivati allo stretto e siccome ci sentivamo stretti anche noi, abbiamo deciso di proseguire senza soste, anche perché c’erano persone che volevano imbarcarsi.
Non abbiamo fatto in tempo però ad allontanarci, che un barbone saltò sul barcone tirandosi dietro una ragazza. A scanso di equivoci, fecero subito le presentazioni, come se qualcuno glielo avesse chiesto. Il barbone disse di chiamarsi ‘Bisio’; la ragazza invece non aprì bocca, però è stato un piacere averla … ‘Incontrada’. E’ stata un po’ ‘Vanessa’, ma non ci si è fatto tanto caso!
Quando ci siamo allontanati dallo stretto abbiamo cominciato a prendere confidenza … a fare le presentazioni … a fare amicizia. Prima, quando si era nelle acque di Sicilia, non ci si guardava in faccia e non parlava nessuno. Non per omertà! Era una questione di timidezza, quasi di sconforto per aver lasciato la Sicilia.

Dopo 15 ore di viaggio e quando la Sicilia non si vedeva assolutamente, abbiamo avuto … come una metamorfosi. Non c’era più tensione, c’era allegria … tutti volevamo dire qualcosa; ognuno chiedeva al vicino cosa avrebbe scelto di fare una volta arrivati a destinazione, ci si abbracciava come vecchi amici, insomma … sembravamo quasi fratelli. Anche se c’erano alcuni che ci sorvegliavano con sguardo severo e schifato.
In compenso, si vedeva che c’era tanta gente culturalmente preparata; alcuni addirittura cominciavano a truccarsi per l’arrivo e intanto si parlava a ruota libera.
Ce n’era uno però che si era messo in piedi e quasi faceva un comizio, parlava di televisione; disse di chiamarsi ‘Baudo’, era un tipo secco e lungo. Stava esagerando, non smetteva di parlare. Ad un certo punto lo abbiamo buttato a mare e utilizzato come timone … e siccome si agitava tutto e muoveva continuamente le mani, faceva un effetto elica bestiale, tanto che il barcone cominciò ad andare più veloce.
Un urlo acuto però squarciò il silenzio. Era la compagna del Baudo che reclamava il recupero del timone, cioè della salma … insomma, del povero disgraziato. Mal volentieri l’abbiamo tirato su e abbiamo riconsegnato la stecca. Si sa che “ogni scarafone è bello a mamma sua”.
Accanto alla salma, c’era una che si faceva chiamare Simo e sembrava in cerca di Ventura. Aveva fatto il viaggio con due palloni sotto le braccia senza mai mollarli, dicendo che cercava quelli del calcio … perché aveva da dirgli qualcosa.
Intanto che si rideva e si scherzava avevamo lasciato alle spalle il parco nazionale del Gargano e lo scafista, che non aveva aperto bocca tutto il viaggio, si rivolse ai presenti dicendo: “Lor signori mi consentano …”
Fine prima parte

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